Smog e coronavirus

Lo studio internazionale che indaga le relazioni tra inquinamento ambientale e Covid-19. Ne parliamo con Alessandro Miani, presidente SIMA

Il lockdownè stato per l’Italia e per il mondo l’occasione per capire quale sia il reale impatto dell’uomo sull’ambiente.

Abbiamo parlato con Alessandro Miani presidente SIMA (Società di medicina ambientale) del possibile rapporto tra smog e coronavirus.

Quali soluzioni per un minor impatto ambientale?

«Le sorgenti di emissioni principali d’inquinamento atmosferico sono le combustioni generate per il riscaldamento degli edifici, seguite dagli allevamenti intensivi e il traffico veicolare che in media incide per il 22%. A Milano, invece, si arriva persino al 39%. Ecco perché per ripartire in sicurezza e con il minor impatto ambientale possibile occorre andare a incentivare le energie rinnovabili.»

«Per città come Milano le bici e il monopattino elettrico rappresentano ottime soluzioni – dice Miani – è bene andare verso la mobilità elettrica, ma occorre anche pensare di elettrificare gli impianti di riscaldamento, di potenziare e facilitare tutte le fonti di energia rinnovabile e il loro stoccaggio tramite idrogeno,cercare di evitare stufe a pellett e caminetti a legna che sono ancora molto utilizzati come fonte di riscaldamento che hanno invece un impatto sull’ambiente deleterio».

Come è iniziato lo studio sul rapporto tra inquinamento atmosferico e Covid?

«Siamo partiti con un position paper, fino a quando abbiamo scoperto a metà aprile le tracce di RNA virale sul particolato di Bergamo dove avevamo campionature d’ariae poi, a un mese data da questa scoperta, abbiamo dato vita a una task force internazionale a nostra guida (SIMA) che comprende personalità del mondo scientifico e i più importanti atenei del mondo come l’Imperial College di Londra, l’Università di Madrid, la Columbia University di New York, la Stanford University, l’Università di Oxford, Harvard, Sydney, Nagasaki, Wuhan, Bruxelles e anche un certo numero di università italiane. Queste si sono basate sul protocollo che avevamo messo a punto, ovvero sui campionamenti dell’aria che vuol dire usare un certo tipo di filtri, un certo tipo di campionatori e un certo tipo di flusso d’aria in un certo numero di ore di processo. Subito dopo questi campioni e questi filtri vengono messi sotto ghiaccio secco e inviati a uno dei tre laboratori che abbiamo consociato per la parte di estrazione del DNA, verifica di vitalità e virulenza del virus. I laboratori sono per il Nord Italia il laboratorio ONU di biologia molecolare e il laboratorio mobile dei Vigili del Fuoco che ha sede a Milano (nucleare, batterico, chimico e radioattivo) e poi ce ne è un altro a Madrid.

Le ricerche in corso sono su Milano, Bergamo e Napoli, Bruxelles, Madrid, Londra, New York e Barcellona e stanno partendo anche quelle in Sudamerica.»

Quindi si può fare un’ipotesi di legame inquinamento e Covid?

«Noi per adesso possiamo dire che abbiamo trovato l’RNA virale sul PM10. Il che non vuol dire che ci sia sempre, ma riteniamo che a certe concentrazioni di PM10, a certe condizioni atmosferiche di stabilità atmosferica, di temperatura e di umidità si possa trovare sul particolato l’RNA virale e che questo possa essere eventualmente vitale e infettivo. Il punto è che adesso qui è estate, motivo per cui lo stiamo cercando in altri luoghi che hanno condizioni più simili a quelle che c’erano all’inizio dell’epidemia.»

La situazione climatica particolare della Lombardia e di città come Bergamo e Milano può far presuppore che ci sia un collegamento con le condizioni ambientali più sfavorevoli che c’erano in Cina?

«Le aree più martoriate a livello d’inquinamento del pianeta sono le aree in cui si sono evidenziati i focolai più importanti con maggiore tasso di mortalità e il numero maggiore di casi di Covid e quelle dove il Covid non è ancora arrivato, per esempio l’India, e dove il conteggio dei sistemi sanitari è inaffidabile.»

Il nostro sistema sanitario invece è affidabile?

«Ci sono state indubbiamente tante pecche, ma posso dire che è affidabile al ribasso, il numero dei casi Covid è molto superiore rispetto a quelli conteggiati. Occorrerebbe andare a vedere i dati epidemiologici con le cartelle cliniche alla mano con quanti sono effettivamente morti di Covid e quanti con il Covid. A livello italiano ora l’epidemia è in forte calo ma occorre dare una spiegazione al fatto che il 50% dei morti sia avvenuto in Lombardia. È vero che qui ci sono sicuramente più persone, che c’è più traffico e che la Lombardia è una delle regioni più inquinate d’Italia e d’Europa, ma non basta. Certo che per le popolazioni che risiedono in zone inquinate sembra più facile sviluppare una sintomatologia da Covid se si considera che è un virus che colpisce le basse vie respiratorie e i polmoni.»

L’uso delle mascherine all’esterno ha senso?

«Noi di SIMA riteniamo che debbano essere usate da tutti sempre sia all’aperto sia al chiuso ma vanno usate bene. Ricordiamoci che quando noi tossiamo e starnutiamo emettiamo centinaia di migliaia di droplets a una velocità molto alta – possono arrivare fino a 300 chilometri all’ora. I droplets più piccoli possono viaggiare nell’aria per alcuni metri soprattutto negli ambienti chiusi. Quindi se noi non abbiamo la mascherina o qualcun altro che è vicino a noi nel raggio di 10-15 metri non ha la mascherina lo possiamo colpire e infettare.

All’esterno non abbiamo ancora evidenze scientifiche, ma riteniamo che a certe particolari condizioni di stabilità atmosferica come quelle che ci sono in Pianura Padana quando c’è tanto inquinamento e c’è la cappa, con l’aria immobile e stagnante, una gocciolina potrebbe andare molto più in là degli uno-due metri considerati di sicurezza e arrivare fino a 5, 6, 7, 8 metri andando per esempio a infettare tutta una fila di persone in attesa al supermercato, oppure davanti a una farmacia o a un negozio.»

A che punto è questo studio?

«Stiamo iniziando a processare i primi campioni e abbiamo in programma due fasi di test. Poi testeremo tutti quei campioni che sono stati raccolti in Italia e in Europa a fine febbraio e inizio marzo. Sui campioni freschi stiamo attendendo i campionamenti che stanno facendo in quei luoghi in cui l’epidemia è corso per verificare se troviamo il virus, la sua capacità di vitalità e di virulenza e quanto è. Dove non dovessimo trovare nulla o non riuscissimo a chiudere il cerchio della ricerca, resta il fatto che abbiamo pubblicato su una rivista internazionale Environment al Research di Elsevier con un buon impact factor. In più, sapere che il virus lo puoi trovare in certe condizioni, può servire da tracciante nel caso di eventuali recidive di un’epidemia. A quel punto se ci si mette in maniera solida a fare campionamenti quando ci sono condizioni le condizioni ideali per la diffusione del virus, ovvero si è in inverno, l’inquinamento è elevato e l’aria è stagnante è possibile intercettare nuovi focolai in anticipo».

Post Author: Valeria Cudini

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