Il ritorno alla regia del maestro Wim Wenders regala al suo pubblico un’opera dalla sublime poetica e profondità.
Perfect Days, distribuito in Italia da Lucky Red, vincitore al Festival di Cannes 2023 del premio per il Miglior Attore e candidato agli Oscar come Miglior Film Straniero, vede il regista tedesco quale co-sceneggiatore e co-produttore in collaborazione con Takuma Takasaki.
La nostra Francesca Ratti lo ha visto per noi di Alpassocoitempi.com. Ecco la sua recensione
di Francesca Ratti
Il film Perfect Days ha avuto una genesi molto particolare, in quanto l’idea per la sua realizzazione prende corpo nella mente del regista dopo aver ricevuto una proposta per dirigere 4/5 cortometraggi riguardanti i bagni pubblici di Tokyo nell’ambito di un progetto sociale.
Wenders immagina, invece, un lungometraggio che riesca a far trasparire come in Giappone i servizi igienici non espletino una mera funzione sanitaria, ma siano espressione dell’amore e del senso del bene comune, del rispetto reciproco per la città e per gli altri, insomma dei veri santuari di dignità e pace.
La bellezza del quotidiano ci viene descritta grazie alla storia di un uomo un tempo ricco e privilegiato, Hirayama (Kôji Yakusho), che ora vive un’esistenza modesta ma molto felice e appagante.
Il protagonista svolge la professione di addetto alla pulizia dei bagni pubblici di Shibuya – un quartiere di Tokyo -, con scrupolosità e attenzione.
È soddisfatto delle poche cose che gli appartengono: le piantine che annaffia tutti i giorni appena sveglio, una vecchia macchina fotografica analogica con cui fotografa solo alberi e komorebi, i libri tascabili tra cui spiccano William Faulkner, Patricia Highsmith e Aya Koda, il vecchio registratore con le cassette collezionate in gioventù che spaziano dai Velvet Underground, a Otis Redding, Patti Smith, i Kinks, Lou Reed fino ad arrivare alla musica giapponese anni ’70 e ’80.
La parola giapponese “komorebi” designa il riflesso creato dal sole della danza delle foglie nel vento, che si staglia su un muro grazie a un gioco di luce/ombra.
È proprio una di queste suggestive apparizioni che ha salvato Hirayama e che l’ha sospinto sulla via dell’illuminazione portandolo ad abbandonare la propria vita precedente costellata di errori e scelte sbagliate.
Ora la sua esistenza trascorre attraverso giornate routinarie, le une identiche alle altre, scandite da medesimi gesti e arricchite da rare parole.
Hirayama è felice, o così sembra, perché ha compreso che se si ha la capacità di riuscire a vivere “nel qui e nell’ora”, la routine scompare lasciando spazio a una concatenazione infinita di eventi e momenti unici, che sfociano in pura bellezza e poesia.
Il suo sguardo ci conduce alla scoperta di questo regno di beatitudine e soddisfacimento, dandoci modo di conoscere tutte le persone che incontra e che accoglie sempre con generosità e slancio: il suo pigro collega Takashi con la fidanzata Aya, un senzatetto che vive in un parco dove lui lavora ogni giorno, sua nipote Niko che da lui cerca rifugio, “mama”, la proprietaria di un modesto ristorante, in cui Hirayama trascorre il poco tempo libero, e il suo ex marito eccetera.
Wim Wenders ha dedicato questo film a Yasujiro Ozu, il grande regista giapponese i cui film lo hanno influenzato nella ricerca della propria poetica e delle proprie scelte stilistiche attraverso l’idilliaca visione che ogni cosa e ogni persona siano uniche; ogni momento accada una sola volta e che quelle di tutti i giorni siano le uniche storie eterne.
Ancora una volta Wenders, in questo film in cui Tokyo è la seconda protagonista assoluta, con le abbacinanti luci delle sue albe e le profonde ombre dei suoi tramonti, riesce a incantare lo spettatore conferendo a una storia apparentemente semplice, la magia e il sublime fascino che solo un immenso artista è in grado di apporre alla propria opera.