Recensione della mostra “David LaChapelle. I believe in Miracles”

Il MUDEC di Milano ospiterà fino all’11 settembre 2022, l’eccezionale mostra personale “David LaChapelle. I believe in Miracles”.

La retrospettiva prodotta da 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE e promossa dal Comune di Milano|Cultura, è curata da Denis Curti e Reiner Opoku, insieme allo Studio LaChapelle e accompagnata dal catalogo “David LaChapelle. I believe in Miracles” edito da 24 ORE Cultura, e regala allo spettatore un David LaChapelle inedito e inaspettato

di Francesca Ratti

Partendo dai primi lavori per giungere a una serie inedita di opere appartenenti alla nuova fase di produzione alquanto visionaria, il pubblico ha la straordinaria possibilità di ammirare l’evoluzione dell’artista dipanarsi dalla sua formazione con Andy Warhol, nella New York degli anni Ottanta e la cultura pop, alla sua affermazione nel mondo dell’arte con il suo approdo in famose gallerie di tutto il mondo, fino a culminare in una fotografia artistica unica nel suo genere, connotata da una spietata analisi del tempo in cui viviamo e da una fortissima identità derivante della sua lunga esperienza artistica e umana.

La Chapelle indaga nelle sue profondità l’animo umano

Il percorso espositivo, infatti, si caratterizza per la centralità di uno sguardo critico sull’animo umano, indagato nelle sue pieghe più recondite: gioie, dolori, passioni, solitudini, ideali e insicurezze. Il rapporto dell’uomo con se stesso, con l’ambiente che lo circonda, con la società umana, con la Natura vengono descritti da LaChapelle attraverso una visione personalissima che culmina con una profonda riflessione antropologica sul presente.

La mostra si compone di oltre novanta opere, tra le quali troviamo grandi formati, scatti site-specific, nuove produzioni e una video-installazione che rimandano a un percorso fluido e colmo di suggestioni che restituisce al pubblico il significato intrinseco nella fotografia “gestuale” dell’artista, quella di essere scorcio sul presente e monito per il futuro.

È possibile lasciarsi affascinare da opere volte a denunciare la vulnerabilità del Pianeta e la fragilità dell’uomo, oltre che da quelle costituenti un corpus specifico che volge il proprio sguardo alla pop culture e allo star system del cinema, della musica, dell’arte.

La retrospettiva si snoda attraverso un viaggio costellato di memoria e sentimenti, seguendo volutamente un andamento non cronologico, ma pregno delle esperienze della vita professionale e privata dell’artista che giungono a porsi sul medesimo piano.

Le serie fotografiche: natura incontaminata in osmosi con gli uomini liberi dall’alienazione

La serie di fotografie, in cui la visione di LaChapelle per ciò che riguarda un mondo nuovo, dove in una natura incontaminata e lussureggiante convivano spiritualità, amore e bellezza e dove gli uomini, liberi dall’alienazione e in osmosi con il contesto naturale possano finalmente vivere e non sopravvivere fa da contraltare alle serie più famose di scatti, che ritraggono personaggi iconici della cultura pop: Madonna, Courtney Love, Britney Spears, Michael Jackson, Kim Kardashian, David Hockey, Angelina Jolie, Elizabeth Taylor, Hillary Clinton, Muhammad Ali, Jeff Koons, Uma Thurman, David Bowie eccetera.

La serie Deluge (2006) e quella successiva After the Deluge (2006-2009) ispirate al Diluvio Universale della Cappella Sistina, nascono dalla rivisitazione dei soggetti classici della storia dell’arte attraverso le caratteristiche estetiche proprie della visione concettuale di LaChapelle.


David LaChapelle After the Deluge: Statue 
Los Angeles 2007 
© David LaChapelle 

La serie seguente intitolata Land Scape (2013) ha come scopo principale quello di rigettare l’antropocentrismo, invitando lo spettatore a un uso critico e consapevole delle risorse fossili e ricordandogli che la sopravvivenza delle specie umana non può prescindere da quella della natura.

Legata a questo tema particolarmente caro al fotografo è l’opera Spree (2019-2020), in cui viene rappresentato il conflitto tra natura, civilizzazione e l’ostentazione della ricchezza.

Qui è raffigurata una nave da crociera, un modellino di 35 cm costruito da LaChapelle stesso, incagliata in un mare di ghiaccio a simboleggiare lo schianto ineluttabile del mondo contemporaneo e del futuro distopico che stiamo vivendo.

David LaChapelle Spree 
Los Angeles 2019-2020 
©David LaChapelle 

Nella serie “New World” (2007-2017) emerge il desiderio di pace e purezza che spinge l’artista a fotografare tutti i protagonisti dei suoi scatti in una foresta pluviale incantata, ponendoli alla ricerca di nuove possibilità di interazione con lo spirito della natura e con il mondo che li circonda.

Revelations (2020) è una delle ultime serie realizzate da David LaChapelle, e racconta l’angoscia della società contemporanea riguardo l’instabilità e l’incertezza, in uno scenario dove l’Apocalisse si manifesta fino a scatenare panico e disperazione ma dove permane una lieve breccia di luce e speranza.

David LaChapelle Revelations 
Los Angeles 2019 
© David LaChapelle 

In questo inedito progetto espositivo molti lavori già esposti in precedenza assumono una nuova prospettiva, acquisendo maggiore consapevolezza, quasi fossero osservati dall’artista stesso in maniera retrospettivamente inusuale.

Anche nei lavori esposti per la prima volta, dopo il periodo della pandemia, emerge preponderante questa rinnovata consapevolezza.

Le fotografie in questione interpretano alcuni passaggi della Bibbia sullo sfondo delle foreste hawaiane in cui lo stesso LaChapelle vive e designano un fondamentale scatto artistico: il suo stile diviene più intimo e riflessivo, le ambientazioni risultano meno surreali e più realistiche, i colori meno saturi.

Questa scelta stilistica porta lo spettatore a ritrovarsi catapultato a ritroso nel tempo e a riflettere sui valori condivisi e sul bisogno di riconoscersi in un nuovo mondo, per merito del “miracolo”.

La biografia dell’artista

David LaChapelle nasce nel Connecticut nel 1963, frequenta la School of the Arts in North Carolina, dove si iscrive inizialmente come pittore. In seguito opta per la fotografia, sviluppando una personale tecnica analogica consistente nel dipingere a mano i propri negativi per ottenere uno spettro di colori “sublime”, prima di elaborare le proprie pellicole.

A 17 anni si trasferisce a New York, dove incontra Andy Warhol che lo assume a Interview Magazine. Attraverso la padronanza del colore, la composizione unica e le narrazioni fantasiose, LaChapelle inizia ad ampliare il genere fotografico creando uno stile unico e inconfondibile, caratterizzato da ritratti e nature morte che rivoluziona il modo di fare fotografia e ottiene ben presto il plauso internazionale.

Nei decenni successivi, infatti, David LaChapelle diventa uno dei fotografi più pubblicati a livello mondiale, in particolare grazie a un’antologia di libri, tra i quali spiccano “LaChapelle Land” (1996), “Hotel LaChapelle” (1999), “Heaven to Hell” (2006), “Lost & Found” e “Good News”del 2017.

Oltre alla fotografia, David LaChapelle si dedica a video musicali, film e progetti teatrali.

Le sue opere, nel corso degli ultimi 30 anni, sono state esposte in gallerie e musei internazionali, tra cui la National Gallery, il Barbican Center, il Victoria and Albert Museum a Londra, il Musée de Monnaie e il Musée D’Orsay a Parigi, il Tel Aviv Museum of Art, la National Portrait Gallery di Washington, Palazzo Reale a Milano, Casa dei Tre Oci a Venezia e la Venaria Reale di Torino.

La mia personale scelta: “Heaven to Hell”

Tra le meravigliose opere in mostra, una ha maggiormente attratto la mia attenzione, per una particolare affezione nei confronti dei personaggi ritratti.

Si tratta di “Heaven to Hell”, pubblicata nel 2006 nell’omonimo libro fotografico. L’opera rappresenta un tema biblico molto forte che la storia dell’arte ripercorre da centinaia di anni, trovando la sua massima forma espressiva in Michelangelo, la Pietà.

David LaChapelle Heaven to Hell, foto di Francesca Ratti

David LaChapelle riprende il tema attualizzandolo e proponendolo in modo paradossale e surrealistico. La Madonna è Courtney Love; il figlio Gesù che giace fra le sue braccia è un sosia di Kurt Cobain, leader dei Nirvana e marito della Love, morto suicida nel 1994.

Per realizzare quest’opera, l’artista ha utilizzato una tecnica fotografica chiamata HDR (High Dynamic Range Imaging), che consiste nell’eliminazione delle ombre presenti nell’immagine, diminuendo di conseguenza la tridimensionalità dello scatto, che ottiene la parvenza di un dipinto.

I due protagonisti siedono sopra un letto di ospedale, la Madonna/Courtney tiene in braccio il simulacro di Kurt/Gesù dotato di stigmate, non solo ai polsi ma anche sulle braccia, a simboleggiare i segni dell’eroina assunta dal cantante durante la propria vita. Accanto alla mano del Cristo, una Bibbia chiusa gettata per terra, incarna l’accezione negativa che il fotografo nutre verso il cattolicesimo.

Il bambino/cherubino che compone la frase “Heaven to Hell” disponendo per terra i cubi con le relative lettere può rappresentare sia un giudice super partes, data la posizione della mano destra sul “to” che sta nel mezzo della frase, sia quella di colui che svolge l’azione di spedire Kurt all’inferno a causa della sua condotta.

La pelle dei soggetti è illuminata da una luce diffusa e da colori caldi con l’utilizzo di molti arancioni e rossi che si contrappongono al blu della veste, associato alla Vergine Maria per antonomasia, due colori che vengono ripresi di continuo sia nello sfondo, come se ci fossero dei raggi divini sopra il capo di Courtney, sia in primo piano.

Il blu e il rosso sono due colori che, da Giotto a Caravaggio, da David Lynch a Stanley Kubrick, vengono utilizzati attraverso giochi di luce oppure applicati a oggetti posizionati in modo da attrarre l’occhio dello spettatore e condurlo in una dimensione onirica.

Le direzioni oblique dei raggi, inoltre, fanno sì che i pesi compositivi di quest’opera si armonizzino, in particolare le direzioni degli arti e dei corpi dei soggetti sono perfettamente bilanciate.

Sia i soggetti in primo piano sia lo sfondo sono messi a fuoco, ma nonostante questo il soggetto subisce una sorta di straniamento dal contesto, accentrando su di sé l’attenzione, tramite la creazione di una sorta di aura pseudo divina attorno alla testa della Donna.

Lo stile scelto da LaChapelle unisce sia la fotografia artistica, grazie all’immensa creatività e alla ricerca simbolica e concettuale, sia la fotografia di moda per l’utilizzo delle luci e delle pose plastiche e stereotipate.

Possiamo dire che in quest’opera in particolare l’artista è stato in grado di creare una commistione tra l’arte di Michelangelo, il Surrealismo di Dalí, la pop art nel suo aspetto più kitsch e la street art.

Info utili

MUDEC  via Tortona 56, Milano

Tel. 02/54917 (lun-ven 10/17)

Data: sino all’11/09/2022

Orari: Lun 14.30-19.30/Mar, Mer, Ven, Dom 09.30-19.30/Gio, Sab 09.30-22.30

Biglietti: Intero 15 euro/ Ridotto 13 euro. Il servizio di biglietteria termina un’ora prima della chiusura.

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Post Author: Francesca Ratti

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