Come si fa a dire addio a una figura come quella di Pietro Citati? Servirebbe, come è stato scritto in maniera eccellente il giorno stesso della sua morte su la Repubblica; Citati stesso. Bellissima la definizione data su l’Avvenire dal giornalista Paolo Lagazzi: “Citati è stato un avventuriero del possibile e dell’impossibile, un esploratore di mondi reali e ipotetici, un artigiano d’immagini nitide e sfuggenti, un intarsiatore di parole proprie e altrui, un creatore di arazzi testuali lucenti e cangianti, pullulanti di figure, tropi, personaggi, fantasmi tessuti con la matassa d’una mente erratica e porosa, col filo di un’anima perennemente in fuga”
di Francesca Ratti
Vorremmo che le grandi personalità e le loro raffinate menti potessero sconfiggere la morte. Purtroppo la realtà delle cose, ci pone di fronte, sgomenti, anche alla loro dipartita.
Quanto a noi, cultori di Apollo, indovini, mitologi, studiosi di letteratura, dobbiamo possedere il dono di Penelope. Dobbiamo interpretare questi segni divini e umani, questi lampi celesti, queste parole folgoranti e balbettanti, questi oggetti segreti, questi riflessi, questi veli, che scendono dal cielo sulla terra o sono nascosti nei libri. […] Non possiamo meravigliarci, se, per un momento, nemmeno Ulisse seppe comprenderli.
Queste parole, scritte ne La mente colorata, rendono solo in minima parte, la grandezza di Pietro Citati, morto il 28 luglio scorso nella sua casa di Roccamare, una frazione di Castiglione della Pescaia, provincia di Grosseto, all’età di 92 anni.
La vita e l’attività di critico letterario
Nato a Firenze il 9 febbraio del 1930, da una nobile famiglia siciliana, Citati si trasferisce con la famiglia prima a Torino, dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza, successivamente durante la guerra, nel 1942, si sposta in Liguria. Dopo la guerra torna in Toscana e frequenta la Scuola Normale di Pisa, dove completa i suoi studi laureandosi in Lettere Moderne.
Dagli Anni Cinquanta si dedica alla critica letteraria dei capolavori della letteratura mondiale scrivendo di Omero, Proust, Cervantes, Goethe, Kafka, Leopardi, Manzoni e Tolstoj, solo per citarne alcuni.
Diviene collaboratore delle riviste “Il Punto”, dove ha l’occasione di conoscere Pasolini, “L’approdo”, e “Paragone”, fondata da Roberto Longhi.
Nel ’52 pubblica una recensione riguardante i “Ventitré giorni della città di Alba” di Beppe Fenoglio, sul Journal de Jenève.
Dal 1954 al 1959 insegna Italiano in molte scuole della periferia di Roma.
Le collaborazioni giornalistiche e i premi letterari
Negli anni Sessanta, invece, collabora con il quotidiano il Giorno, dove continua la sua raffinata opera di analisi dei classici. Sempre in questo periodo si cementa il sodalizio con Carlo Emilio Gadda, come testimoniano le lettere contenute nell’epistolario pubblicato da Adelphi.
Nel 1970 vince il Premio Viareggio grazie al volume dedicato a Goethe.
Dal 1973 al 1988 inizia la sua collaborazione con il Corriere della Sera, e nel 1984 viene insignito del Premio Strega per la biografia dedicata a Tolstoj.
Nel 1988 passa a la Repubblica, dove rimane fino al 2011, anno in cui riprende a collaborare con il quotidiano di via Solferino, per poi tornare nuovamente a scrivere sulle pagine di la Repubblica dal luglio del 2017.
Stile e pensiero
Pietro Citatiha avuto l’indiscussa capacità di nutrirsi degli apporti più disparati per elaborare un proprio stile di scrittura e di analisi dei testi, spaziando dalla narrativa alla filosofia, dalla poesia alla musica, passando per la pittura, per giungere alla letteratura e alle vie iniziatiche dell’innalzamento dello spirito.
Secondo Citati, la lettura delle opere letterarie varia al variare del tempo e del momento in cui le si legge, dando vita a differenti interpretazioni del testo in base alle esperienze attuali di chi legge.
Egli ha contribuito in maniera sostanziale al rinnovamento del genere della biografia, che, a partire soprattutto dagli anni Settanta, vive di una particolare commistione tra biografia romanzata e romanzo biografico, dove l’autore stesso diventa personaggio di un’opera letteraria, fondendo vita vera e interpretazione dell’opera.