A tu per tu con… Mattia Insolia

È uscito in luglio il romanzo di esordio del giovanissimo Mattia Insolia Gli affamati (Ponte alle Grazie). Noi di #alpassocoitempi abbiamo avuto l’onore e il piacere di intervistarlo. Il suo libro è una perla rara. Se non avete ancora avuto l’occasione di leggerlo ci auguriamo che questa intervista vi spinga a farlo al più presto

di Valeria Cudini

Mattia Insolia

Per prima cosa mi ha molto incuriosito la scelta dell’architettura del romanzo che, a mio avviso, è molto coraggiosa, soprattutto per un esordiente, ovvero decidere di iniziare il romanzo partendo dalla fine con una scena bellissima e molto forte. Si tratta di una scelta precisa, che pone il lettore in condizioni di conoscere sin da subito che cosa succederà dopo. In questo modo, anche se ancora i personaggi non si conoscono, si innesca nel lettore una curiosità quasi morbosa di capire perché sia accaduto quel fatto. La domanda è quindi: perché hai fatto questa scelta? Ti è stata funzionale alla costruzione della storia?

«Sì, sicuramente è stata funzionale ai fini del racconto. Scrivendo, ho proprio pensato potesse dare alla narrazione una marcia in più; o quantomeno, questa era la speranza. C’è anche da dire, però, che mi piaceva l’idea di costruire qualcosa che desse l’idea di un cerchio che si chiude. Sono un ammiratore delle storie che hanno una conclusione netta, pulita, precisa».



Altra scelta forte: mettere in scena due fratelli che si trovano a fronteggiare una vita durissima, quasi al limite della povertà, senza più alcun riferimento genitoriale, eppure, a differenza di come può spesso accadere tra fratelli, anche nei momenti di disaccordo sono sempre stretti l’uno all’altro e solidali. Ti sei ispirato a delle figure precise del tuo contesto famigliare o tra i tuoi amici? Senza volerti sembrare banale e/o ripetitiva vorrei chiederti quanto hai visto della vita di Antonio e Paolo nella tua e quanto, invece, sia frutto di immaginazione, conoscenza di quel mondo, spirito di denuncia (?). Ho letto un po’ di tue interviste in merito in cui racconti che i due personaggi da un certo punto in poi li hai avuti in mente in modo chiaro e poi il resto della storia la hai costruita intorno. È pazzesco perché in effetti i tuoi personaggi si vedono, tu ce li mostri con una scrittura che mi verrebbe da definire, per l’appunto, “visiva”…

«So che può sembrare una risposta bizzarra, e per certi versi anche parecchio elusiva, ma la scrittura per me non è pura invenzione, è più una sorta di lavoro archeologico. Scavo, scavo in un terreno che voglio che sia quello di indagine (in questo caso la rabbia, il desiderio, l’abbandono), e continuo fino a che non trovo i cadaveri che poi diventeranno i miei personaggi. Sono loro che raccontano la storia, io mi limito a porgere l’orecchio alle loro lamentele, alle loro speranze, alle loro richieste. Sono loro che mi mostrano quel che è capitato, io mi limito a scrivere ciò che vedo attraverso i loro occhi. Ed ecco, forse, perché, come dici tu, la mia è una scrittura “visiva”. Per quel che riguarda il mio trascorso e l’eventualità che io mi sia ispirato a qualcuno, tra amici e famigliari, la risposta è no. Ci sono delle esperienze di Antonio e Paolo che condividono con me, me i personaggi sono quasi tutti una finzione – si salva solo Italo, lui esiste ed è in salute».

Mattia Insolia b/n


La rabbia e la fame di Antonio e Paolo, quella voglia di riscattarsi in una realtà dove sembra impossibile riuscirci, quel senso di impotenza mista a solitudine, quella voglia di divorare tutto – soprattutto quello che fa male -, per riempire un vuoto sempre più profondo, da dove ti arriva? Quanto c’è degli studi che hai fatto sui cannibali italiani e quanto della società di oggi? I giovani, anche ma non solo, in base alla condizione sociale in cui vivono sono secondo te affamati? E se sì lo sono solo in un’accezione negativa o sono anche affamati di conoscenza?

«Per come la vedo io, la fame è sempre qualcosa da declinare in un’accezione positiva. Non è lei, la fame, a far danni. È il modo in cui quella fame si sceglie di soddisfarla. C’è chi riesce a canalizzare i propri desideri in modo giusto, per così dire, costruttivo e innocuo. E c’è chi, invece, incapace o, peggio, incapacitato di indirizzare questo senso di vuoto verso persone e situazioni che potrebbero far del bene, si butta in una mischia da cui poi venire fuori è molto, molto complicato. Questo, credo, è il senso della smania di distruzione che anima i miei ragazzi – loro, incapaci e incapacitati, la fame non riescono a sfruttarla come dovrebbero. Per quel che riguarda i miei studi e le mie esperienze di vita vissuta, non saprei risponderti. Quando scrivo si mischia tutto in un modo che poi mi rende impossibile dividere gli elementi. C’è tanto dei Cannibali, certo, ma c’è tanto anche di moltissimi altri autori che mi sono stati vicini in questi anni. Poi, com’è ovvio, ci sono anche gli accadimenti che in qualche modo si possono accostare a determinati avvenimenti del mio trascorso».

Quanto l’essere affamati ha a che fare con la velocità con cui oggi si vive e si consuma tutto? In che direzione stiamo andando?

«Sulla direzione non saprei dire, è difficilissimo – quasi impossibile – giudicare. Penso al cambiamento climatico, ai partiti di ultra destra che in tutto il mondo paiono galoppare nei sondaggi (pure se di recente, con la vittoria di Biden negli Stati Uniti, certe persone si sono beccate un ceffone in faccia), al razzismo e all’omofobia e alla misoginia che paiono quasi inestirpabili, e mi convinco del fatto che la direzione intrapresa sia sbagliata e che vada chiaramente verso un’autodistruzione chiara. Poi, però, fisso lo sguardo sulle nuove generazioni, la cosiddetta Z, e mi dico che forse non tutto è perduto. Sulla velocità con cui oggi si vive e si consuma, credo tu abbia ragione: abbiamo tanta fame perché spesso non sappiamo gustarci niente».

Mattia è rock o lento (per citare Celentano)?

«Mattia è silenzio abissale – c’è, pure se non lo senti, e se ti concentri su di lui lo trovi assordante».

Mattia Insolia b/n

La scrittura necessita di voracità, di fame o di calma e digiuno?

«Di tutte queste cose che hai detto e di molto altro. La scrittura necessita. E basta».

Ho letto che ha impiegato un paio di mesi per costruire l’architettura del romanzo e aver chiaro dove voler andare. Poi però a un certo punto la scrittura ha preso il sopravvento così come i personaggi e loro ti hanno guidato a proseguire in un modo piuttosto che in un altro. Si tratta di una condizione istintiva o, senza falsa modestia, del talento e della creatività dello scrittore?

«Credo che istinto e talento vadano di pari passo. O meglio, credo che il talento sia fare una cosa bene utilizzando – quasi – solo l’istinto. E sinceramente non saprei a cosa imputare il mio modo di procedere nella scrittura, penso più che altro che si tratti della mia necessità di sentirmi vivo. Nella narrazione sono il Dio del mio mondo, del loro mondo, e posso correre senza pena».

Questa è la tua vita, il tuo mestiere quello dello scrittore? E se sì come lo fai, ovvero, quali sono (se ci sono) le regole e il rigore che lo scrittore Mattia Insolia si impone e come è una tua giornata tipo?

«Non è un mestiere, no. Neanche lontanamente. Chissà, magari un giorno potrebbe diventarlo, ma è ancora presto. Mi sono laureato lo scorso febbraio, mi sento ancora più uno studente che un lavoratore a tutti gli effetti – ed è parecchio straniante, a dire il vero. Mi sono dato delle regole, però. Ogni giorno, cascasse il mondo – e nel 2020, a un certo punto, è parso probabile a tutti, credo -, dedico almeno tre ore alla scrittura; la maggior parte delle volte nel pomeriggio, di mattina non sono capace neanche di pensare, figurarsi di scrivere. Sono un tipo notturno, prima delle tre del mattino non piglio sonno».

Con la critica tutta schierata a tuo favore presumo tu senta adesso una forte responsabilità nell’andare a proporre un nuovo romanzo. Hai già in mente una nuova storia?

«Eh, la pressione è tanta. L’ansia minaccia di divorarmi. Però sto scrivendo, sì. L’ultima stesura de Gli affamati l’ho conclusa ad aprile del 2019 e io non riesco a passare neanche un mese senza scrivere. Mi sono messo al lavoro subito dopo, ma da allora di storie nella mia testa ne sono passate tante. Solo adesso, da settembre, credo di aver trovato quella giusta. È un cantiere aperto, però, e io sono ancora solo un vecchietto che sta lì a fissarlo».

Quali obiettivi ti poni per la tua scrittura? Hai delle critiche da farti?

«L’unico obiettivo è essere onesto con me stesso. Le critiche le lascio agli altri, io da solo non sono capace di farmene. Ho troppe insicurezze, rischierei di annichilirmi da solo».

Il nostro blog si chiama #alpassocoitempi e lo definiamo un blog evolutivo ovvero al passo coi tempi ma adattandosi al cambiamento dei tempi. Ti ritrovi in questa “definizione”, ovvero pensi che per essere sempre attuale occorra adattarsi al tempo che cambia e quindi anche, se necessario, adattare lo stile della scrittura e la scelta dei temi o le storie da trattare?
Oppure le storie che vale la pena leggere devono avere come i tuoi “Affamati” un carattere di universalità di modo da scavalcare le barriere del tempo ed essere sempre al passo coi tempi?

«Penso che ogni scrittore o scrittrice, e così ogni romanzo o racconto, faccia storia a sé. Dipende tutto da ciò che l’autore o l’autrice si prefissa di raccontare, credo. E comunque io sono ancora acerbo, o almeno lo spero, per poter rispondere a questa domanda. Di certo c’è che il cambiamento personale, secondo me, deve necessariamente procedere al passo coi tempi. Come ha detto qualcuno una volta, chi si ferma è perduto».

Post Author: Valeria Cudini

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