Intervista a Francesco Vidotto, lo scrittore di libri di montagna

Raccontare chi è Francesco Vidotto non è facile. È un uomo che può sembrare semplice ma è fatto di quella semplicità che racchiude la saggezza e la memoria del tempo. Francesco è la montagna, la montagna che ha dentro, che ha interiorizzato e che ormai fa parte della sua identità. Un’identità fatta della libertà che la montagna ti offre e che Francesco, nel momento in cui ha scelto di essere solo scrittore, ha ritrovato nello scrivere.

Se la montagna è dentro di te puoi stare fermo a scrivere e sentirti libero di andare dove vuoi. (cit.)

Le sue storie sono storie degli ultimi, di persone di montagna, di anziani che conservano la memoria di un tempo che altrimenti andrebbe perduto.

Abbiamo parlato di questo e di tante altre cose a cuore aperto, in sincerità. Perché solo i grandi sono in grado di esprimere concetti universali con semplicità e di renderli così fruibili per tutti.

Francesco ha rampicato in verticale puntando verso l’alto ma, al contempo, è sceso anche in profondità come fanno i minatori. Nel silenzio Francesco si è messo in ascolto e ha capito nel profondo la natura e la natura degli uomini. Tutta la saggezza che ha acquisito ce la restituisce nei suoi scritti dei piccoli gioielli fatti della magnificenza delle Dolomiti imponenti e fragili allo stesso tempo.

Parliamo di Fabro. Mi ha colpito sentirti raccontare in un’intervista che il manoscritto era andato perduto… Quali emozioni hai provato quando ti sei accorto che il manoscritto non c’era più?

Scrivere un libro vuol dire tirar fuori le viscere. Devi essere onesto con te stesso e tirar fuori le tue paure e ci devi mettere quello che è dentro di te.

Quindi aver perso il manoscritto significa aver perso un periodo di tempo che hai dedicato a rivangare te stesso per trovare le cose giuste da dire, le cose che hai riportato a galla. E poi, dato che io scrivo a mano, c’è da considerare tutto il tempo che hai dedicato a cancellare le cose che hai sbagliato. E poi c’è anche il fatto che all’inizio scrivere vuol dire vuotare il sacco e successivamente eliminare le parole che non vanno bene.

L’emozione che ho provato è stata di smarrimento, mille volte più forte di quello che puoi provare quando perdi il cellulare. Poi è successo che dopo questa perdita anche la storia mi stava antipatica. Riprenderla in mano significava tornare su un qualcosa che mi aveva tradito scappando via dalla borsa.

Ma poi hai detto che la hai riscritta e che la storia è anche migliorata…

Sì posso dire che la storia è la stessa ma indubbiamente migliorata. È come rifare un disegno ben fatto. Alla fine devi solo ridelineare i dettagli.

Hai mai pensato che qualcuno possa aver trovato il manoscritto e utilizzarlo? La cosa pazzesca è che recentemente ho visto un film, The Words, dove si racconta esattamente di questa storia…

Ah sì è vero, anche io ho visto quel film e c’è uno scrittore che perde sul treno il suo manoscritto.

Solo che nel film poi il manoscritto viene trovato da un altro scrittore e utilizzato come se fosse suo…

In effetti io ero preoccupatissimo. Prima di uscire con il libro continuavo a guardare le vetrine delle librerie con il terrore di trovarlo lì pubblicato da qualcun altro. Sì ero preoccupatissimoma per fortuna è andata bene e poi ho superato quella paura.Continuo a scrivere su carta ma indubbiamente sto più attento.

Io scrivo su carta perché mi piace l’idea di poter lasciare una traccia tangibile magari per dei nipoti. Un file sul computer di un libro non può equivalere a lasciare un manoscritto.

Qual è per te il rapporto tra scrittura e montagna?

La montagna ha dato alla scrittura in maniera indiretta. La montagna è verticale, è una barriera. Ci vuole tempo ad allontanarsi e ad avvicinarsi alle montagne che quindi tendono a conservare le storie che sono storie di ultimi, di gente che nessuno conoscerebbe mai. Queste storie si tramandano oralmente e adesso se non c’è qualcuno che le raccoglie vengono perdute. In questa società che corre non c’è più tempo per ascoltare i nonni e quindi c’è il rischio che queste storie vadano dimenticate. In questo senso dal punto di vista dei contenuti la montagna mi ha aiutato conservando le storie come un vecchio tabiat del bosco. Dal punto di vista emotivo mi ha aiutato perché mi ha contagiato con una lentezza che è necessaria alla scrittura perché la lentezza, a differenza di quanto diceva Celentano, è rock.

Di tutte le più grandi band rock, i Metallica, gli ACDC, iGuns N’ Roses i migliori pezzi sono quelli lenti.

Il tuo stile è condizionato da questo ritmo lento?

Io penso di sì, ma penso che più che altro dovrebbe dirmelo chi legge i miei libri. A me piace non raccontare le emozioni, mi piace raccontare le azioni che suscitano emozioni. E per questo ci vuole lentezza perché bisogna aspettare che la storia sbocci e che il personaggio si spieghi e si renda semplice agli occhi del lettore.

E la montagna, attraverso il modo in cui la vivo io, mi comunica la fragilità. Propriocome sono le Dolomiti che sono fragili, si sgretolano di continuo, e per questo sono bellissime.

La nostra vita è eterna proprio perché finisce ed essere a contatto con questa fragilità me lo fa riportare nei personaggi che sono pieni di dubbi, sono fragili e perciò eterni.

Tu hai definito Venezia “una montagna distesa in laguna”. C’è un legame, come con la montagna, con l’acqua? L’acqua può essere un corrispettivo della montagna?

L’acqua è una montagna al contrario. È come se guardando il mare tu vedessi la base della montagna. E poi c’è il discorso dell’energia. Tu vieni contagiato da una frequenza ancestrale se hai la pazienza di assorbirla ti riporta a dei ritmi ancestrali. E questo accade sia con il mare sia con la montagna. Noi siamo schiavi delle nostre paure. Dovremmo invece abbandonarci a questi luoghi.

Venezia è una città costruita sulle palafitte, è costruita sui larici del Cadore, è una città fragile, che non stona a ridosso delle Dolomiti è come se fosse una prosecuzione della montagna, è fatta con amore, non c’è niente messo a caso, non è fatta di fretta, è stata fatta con il tempo.

La montagna è fatta per essere migliori, la montagna è dentro di me. Deve darti qualcosa che ti migliora. Io sono diventato quello che sono pian pianino.

Quando più di trent’anni fa ormai ho iniziato ad arrampicare mi incazzavo se non riuscivo ad andare a rampicare,perché mi sentivo libero solo quando arrampicavo. La rampicata doveva darmi una libertà dentro.

Adesso invece è diverso non ho più bisogno di questo. Non ho più bisogno di identificarmi con l’arrampicata perché è l’arrampicata che si identifica con me. Sono io Francesco che arrampico.Ed è questo il momento in cui cambia il tuo rapporto con la montagna: la cominci a vivere la vita da protagonista.

Come è iniziato il tuo rapporto con la scrittura?

La mia vita è stata difficile all’inizio.

Ai tempi del liceo avevo problemi di dislessia, ho fatto due volte la maturità, non ti dico che problemi ho avuto a casa… E anche all’università per leggere ci mettevo il doppio del tempo rispetto a uno che legge con disinvoltura.

E poi ci sono le mie storie d’amore che sono sempre state tormentate perché io nella donna ho sempre visto una musa, una fonte d’ispirazione.Ho sempre avuto vicino delle donne cazzutissime di cui mi innamoravo perdutamente e ogni volta che la storia finiva stavo malissimo. Perché a me piace vivere proprio, sentire la vita. E con l’amore per lungo tempo è successo che io dovevo sentirlo quel rapporto e quando non c’era più, allo stesso modo, dovevo sentire il dolore.

Non mi è mai piaciuto stare a bagnomaria nei rapporti, così come nella vita. Non sono un animale di quella razza là.

Nei libri metto tutto di me, si raccontano anche storie d’amore fortissime che durano una vita, quelle che io non sono mai riuscito a mettere in piedi ma attraverso i miei personaggi s, ci sono riuscito.

Tu ti senti “al passo coi tempi”?

Io mi sento al passo coi tempi perché tendo un po’ a tirare le redini di questo cavallo che altrimenti correrebbe troppo veloce. Per me è fondamentale, per essere al passo con i tempi,tenere la memoria dei tempi, mentre purtroppo oggi, anche a causa dell’innovazione tecnologica che assorbe il naso delle persone nel cellulare,la memoria viene cancellata.

Per esempio quando scorri Facebook ci metti magari anche mezzora perché il tempo vola. Ma poi quando ripensi alle cose che ti hanno colpito di più non te le ricordi e questo perché i social sono strumenti che non danno la capacità d’immagazzinare. Utilizzandoli tanto viene perduta a livello cerebrale questa capacità di tenere la memoria di ciò che è accaduto prima, la memoria dei nonni, la memoria del mondo e di conseguenza se ti muovi senza memoria, non c’è più necessità di memorizzare il nome di una via, di una città, del senso delle cose. Perché la risposta è sempre lì pronta.

Il fatto è che la risposta dovrebbe essere dentro la nostra anima, non nella tasca. Perché allora metteresti a punto un sestante interno che misura il senso delle cose.

Oggi, invece, ti sembra di vivere veloce ma ti perdi la vita. Io mi sento al passo coi tempi perché faccio attenzione a non smarrire la vita.

Penso che purtroppo la maggior parte delle persone non sia al passo coi tempi proprio per questo fatto. Te ne accorgi parlando con i ragazzini. Oggi come oggi i bambini sono meravigliosi, tu parli con un bambino ed è come parlare con un anziano di cento anni perché ti guarda negli occhi, arrossisce, ti fa le osservazioni giuste.Poi parli con uno di 16 anni e ti sembra un “rincoglionito”.

Io sono stato molto fortunato perché la scrittura mi ha dato modo di vivere, ma in Italia siamo davvero in pochi ad avere questa fortuna. Mi rendo conto che se uno ha questa inclinazione di stare al passo coi tempi, di dare il valore giusto alle cose e alle persone e dopo si trova in una sorta di società che è tutto il contrario, a quel punto lì o muore di fame oppure si adegua.

Ed è proprio da questa cosa qui che nascono i mali del nostro tempo, le ansie, le crisi di panico perché le persone che hanno un minimo di sensibilità e non sono abituate a calpestare gli altri ne soffrono. Però nella vita bisogna anche mangiare.

Ho lavorato per molti anni e quindi so cosa vuol dire e la scrittura è stata per me un punto di arrivo, per me la scrittura è libertà. Nel Triveneto due libri che ho scritto sono i libri più venduti in assoluto e questo mi basta per vivere, ma il fatto che non siano i primi in Italia o al mondo a me non interessa.

Quello che io ho voluto raggiungere con la scrittura è la libertà di gestire il mio tempo, la libertà di dire di no alle case editrici che vogliono rompermi le scatole con libri sempre nuovi. Ci sono scrittori in Italia che si sono sviliti a diventare degli opinionisti televisivi, a vendere copie, a diventare dei pagliacci.Questo per me è inconcepibile perché uno deve essere onesto nei confronti di se stesso, perché se tu ti racconti le bugie non sai più chi sei dopo dieci anni.

Hai qualche nuovo progetto?

Adesso è uscito Il cervo e il bambino che sta andando benissimo, ma ogni libro deve avere il suo tempo, almeno due anni di vita.

Ho finito di scrivere un libro che si chiama A ciascuno il proprio Dioe che racconta del fatto che ciascuno dentro di sé deve scoprire qual è la propria inclinazione naturale e poi deve avere il coraggio di seguirla.

A livello economico come prevedi che sarà la situazione in Italia post Covid?

Io sono molto contento perché noi italiani viviamo in un Paese meraviglioso e quindi ci viene naturale non fare niente, ma noi siamo già ricchi. Abbiamo naturalmente quello che tutto il resto del mondo per avere deve pagare diecimila euro. È per questo che gli italiani non si sforzano a tornare come una volta. Ci serve un po’ di povertà in più.

Quindi la crisi, che sono sicuro ci sarà, porterà molto scompenso all’interno delle famiglie, della loro struttura economica ma, contestualmente, porterà a galla di nuovo il genio di noi italiani e tu vedrai che nell’arco di 5-6 anni questo Paese si rivolterà come un calzino e tornerà l’Italia del Rinascimento, l’Italia che ha insegnato a tutto quanto il mondo.

Perché tutto proviene da qua, dalla stretta di mano al cambio della bicicletta.

Penso che però occorrerebbe un cambio radicale anche a livello politico

Ogni popolo ha i politici che si merita, adesso l’Italia ha i politici che si merita.

Ma non appena le cose cambieranno anche la classe politica cambierà. Noi avremo un cambiamento totale per il meglio. Dobbiamo ritrovare il nostro orgoglio italiano.

E sono sempre più convinto del fatto che chi viene in Italia deve pagare un biglietto. Torneremo a investire nella scuola, cominceremo a pagare gli insegnanti diecimila euro al mese.Però dovranno essere bravissimi perché un insegnante bravo cambia il destino di una persona e quindi cambia il futuro del Paese.

Post Author: Valeria Cudini

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